Tendenza Macro Mercati

L'Italia Non Sopravviverà A Ciò Che Sta Arrivando

16 settembre, 2022

Benvenuti in questo nuovo articolo. 

Oggi analizzeremo le ultime notizie e capiremo cosa veramente sta succedendo con la crisi energetica, filtrando le notizie e capendo soprattutto quali sono le scelte da fare con i nostri investimenti. 

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Pronti? Partiamo con le ultime notizie. 

Il gasdotto Nord Stream non riprenderà a inviare gas verso l’Europa dopo i tre giorni di manutenzione straordinaria finiti il 2 settembre. L’annuncio da parte di Gazprom ha confermato i timori che Mosca  blocchi a tempo indeterminato i flussi di gas verso l’Europa. 

Nel frattempo, l’Europa è alla ricerca di una soluzione e tra una settimana un Consiglio europeo straordinario del 9 settembre deciderà se imporre o meno un tetto al prezzo del gas utilizzato per produrre elettricità. 

La chiusura di Nord Stream significa che all’Europa verrebbe a mancare un ulteriore 5% di gas russo che è equivalente ad un 8-10 miliardi di metri cubi di gas l’anno (Gmc/a). Volumi importanti, se si considera che l’UE ha quasi esaurito modi semplici per procurarsene di alternativi.  

Come siamo messi a stoccaggi? 

In base agli ultimi dati Ispi, l’Istituto Per gli studi di Politica Internazionale, anche con stoccaggi quasi pieni, il gas accumulato basta solo per il 20% dei consumi tedeschi o italiani, e ancor meno per paesi quali Polonia (15%) e Bulgaria (10%) che hanno deciso di fare a meno del gas russo. Di contro l’Austria è al 64%, l’Ungheria al 36% e la Francia (26%) che riuscirebbero a cavarsela meglio. 

Quindi gli stoccaggi a livelli elevati non riescono da soli a risolvere il problema gas. 

L’Italia partiva da una posizione più favorevole rispetto alla Germania in termini di dipendenza dalla Russia riguardo al gas.  

Il consumo di gas è diminuito di appena il 2% nei primi 6 mesi del 2022 rispetto allo stesso periodo del 2021. A questo ritmo di consumi, l’Italia resterebbe senza gas entro la primavera 2023!!! perfino se la Russia continuasse a inviare il 10% dei flussi.  

Ma sebbene i dati di fine estate non ancora disponibili possano delineare un quadro più rassicurante, sulla base dei dati osservati finora l’Italia necessiterebbe di un significativo aumento dei risparmi energetici per far fronte a uno scenario di taglio totale dei flussi di gas russo. 

Ma stiamo attenti, anche la politica conta.  

Finora il governo italiano si è concentrato maggiormente sul proteggere i consumatori dall’impatto dell’aumento dei prezzi dell’energia piuttosto che sull’incentivare il risparmio energetico. 

L’Italia ha speso il 2,8% del PIL in poco meno di un anno (uno dei tre maggiori interventi nell’UE) per misure finalizzate a ridurre l’impatto dei prezzi sui consumatori. Sebbene alcune agevolazioni siano necessarie per proteggere i più bisognosi, gli interventi non mirati hanno il rovescio della medaglia di ridurre gli incentivi al risparmio energetico o alla sostituzione del gas. 

Lockdown energetico, caro bollette e conseguente inflazione, razionamento, gas russo, crisi energetica, ricatto russo: sono queste le espressioni e i vocaboli che definiscono sempre di più la crisi in atto nell’economia dell’Europa e dell’Italia.  

È evidente che Mosca stia usando, ormai da diversi mesi, il gas come arma di guerra contro le sanzioni occidentali e di recente la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, chiedendo agli Stati membri una riduzione del 15% del consumo di gas, ha dichiarato che l’Europa deve essere pronta a una potenziale interruzione totale del gas russo. 

Questo clima di incertezza produce i suoi nefasti effetti sul prezzo del gas che continua a rimanere fortemente alto e volatile. 

Nell’arco di due mesi il gas Ttf (benchmark europeo), come vediamo dal grafico del future di settembre, è passato dai circa 80 €/Mwh di inizio giugno agli attuali 270 €/Mwh con uno spaventoso incremento di oltre il 240%.  

Questo logicamente si ripercuote sull’andamento del prezzo dell’energia elettrica che in Italia ha raggiunto il suo picco massimo ad agosto 2022 quando il Pun (Prezzo Unico Nazionale) è arrivato a 0,7064 €/kWh, in aumento di oltre il 1000% rispetto allo 0,061 €/kWh segnato a marzo 2021. 

Se da una parte le bollette stanno diventando sempre più pesanti per famiglie e imprese, dall’altra il rincaro di gas e petrolio da un forte impulso ai conti delle società energetiche e a riguardo come si stanno comportando i colossi europei per fronteggiare l’emergenza energetica?  

In Italia Eni ha chiuso un semestre molto positivo, con un utile netto rettificato che è salito di oltre sei volte (7,08 miliardi di euro) rispetto al primo semestre del 2021. 

Il gruppo si sta muovendo per implementare l’ambizioso obiettivo di rendere l’Italia indipendente dal gas russo entro il 2024 e questo anche grazie allo sviluppo di accordi per aumentare le forniture di gas da Algeria, Egitto e Congo. Inoltre, Eni sta inoltre investendo nella sua controllata green, Plenitude. 

Pieno di ricavi anche per Enel che nel primo semestre 2022 ha registrato un aumento dei ricavi del +85,3% rispetto allo stesso periodo del 2021. Nonostante i grossi profitti, in Borsa Enel sta ancora soffrendo trovandosi a quota 4,78 euro, con un calo da inizio anno del 32%. 

I maggiori volumi di vendita di gas hanno spinto anche i ricavi di Edison, tra le più antiche società energetiche europee, che ha chiuso i primi sei mesi del 2022 con 13,2 miliardi di euro di ricavi e 201 milioni di utile netto. 

Sempre con riferimento al mercato italiano e sempre grazie all’incremento dei prezzi delle materie prime energetiche, la lombarda A2A ha registrato un aumento del +141,5% dei ricavi saliti a quota 9,79 miliardi di euro.  

Tra le major utility europee boom di ricavi anche per Shell che ha più che raddoppiato i profitti rispetto ad un anno fa e l’Ad Van Beurden ha ribadito che il gruppo continuerà ad investire nella sicurezza energetica e nella transizione energetica. 

Ma questo Paese ha deciso di ignorare il blocco totale di Nord Stream 1 da parte di Gazprom, tanto per non infondere e ingenerare nell’opinione pubblica il dubbio che questa volta l’Europa sia veramente con le spalle al muro. 

E per chi pensasse che di fronte a noi vi sia soltanto un bluff orchestrato da nazioni disperate per le sanzioni, ecco che questo grafico 

fa da corredo a un’altra notizia, rilanciata da Bloomberg: dopo aver scaricato la quasi totalità delle sue detenzioni di debito Usa a partire dal marzo 2018, ora la Banca centrale russa intende dar vita a un piano strategico di acquisto di miliardi in valute amiche al fine di tamponare l’eccessivo apprezzamento del rublo. Per capirci, la stessa valuta che le sanzioni avrebbero dovuto tramutare in carta straccia, trascinando il Paese al default. E accelerare la de-dollarizzazione del suo sistema economico-finanziario. 

Insomma, mentre noi festeggiamo price caps ridicoli e occultiamo la realtà, il mondo guarda avanti e si prepara a nuovi assetti che ribalteranno dinamiche da cui dipendono, oltre che fatturati miliardari, i destini di intere economie e complessi industriali.  

Perché Gazprom è stata tanto generica quanto chiara nel suo comunicato: a causa dei danni a un’unità di compressione riscontrata nel corso della manutenzione che avrebbe dovuto concludersi domani, Nord Stream 1 viene bloccato totalmente. Stante la natura del danno, non è possibile indicare tempistiche precise per il riavvio, sottolineava la nota.  

E non solo a livello di approvvigionamento energetico, stante i flussi già ridotti della pipeline russa al 20% della capacity e lo shopping a prezzi astronomici in atto presso Olanda, Norvegia e Cina. Bensì, soprattutto a livello politico. 

Perché è chiaro che la decisione del Cremlino appare una diretta ritorsione a quella del G7 di imporre un cap al prezzo del petrolio russo. 

Ora tutta l’attenzione si sposta su due fronti. Il più a breve termine è quello che lunedì vedrà la Borsa di Amsterdan tramutarsi nel centro del mondo, poiché una simile mossa potrebbe far riguadagnare ai futures del gas naturale europeo tutto quanto perso a livello di prezzo negli ultimi due giorni. 

Venerdì, poi, ecco che Bruxelles sarà chiamata alla sua prima, vera prova di politica. E i presupposti non appaiono dei migliori per chi, come il governo italiano, puntava tutto su un accordo comunitario sul tetto comune al prezzo del gas.  

Una cosa è certa: Mosca ha alzato l’asticella al massimo, di fatto mettendosi in gioco totalmente. Insomma, la partita appena iniziata non prevede pareggi o rinvii. Qualcuno vincerà. Qualcun altro perderà. 

Perché se il Paese che sei chiamato a governare implora interventi contro il caro-energia e la tua risposta si sostanzia nell’elencazione dei gradi e delle ore in meno di utilizzo dei termosifoni dal prossimo ottobre, difficile sfuggire all’ironia. 

Anche se da ridere c’è ben poco. Ne sa qualcosa Carlo Bonomi, presidente di quella Confindustria che di colpo si è resa conto dell’importanza del gas russo per l’Italia. Questo grafico 

ci mostra come in effetti chiunque si sarebbe reso conto del livello di dipendenza del nostro Paese da Gazprom. 

Ora, però, è suonato l’allarme. Gli industriali, dopo aver preso atto con sconcerto che l’inflazione non sia transitoria, hanno dovuto scendere a patti con una realtà che parla di 4 miliardi di metri cubi in meno di gas a disposizione delle nostre imprese, in caso di chiusura totale dei rubinetti da parte di Gazprom. Tradotto, un’impresa su 5 rischia di fallire. 

Ed ecco, quindi, che con una settimana di anticipo, si può decretare il fallimento del vertice Ue sull’energia convocato per il 9 settembre.  

E questo ultimo grafico 

ci mostra l’ultima variabile entrata in gioco e che potrebbe far saltare definitivamente il banco: il mercato obbligazionario globale è entrato ufficialmente in bear market, avendo perso il 20% dal suo picco del gennaio 2021. E se questa contrazione dei bonds rappresenta la prima della cosiddetta generazione Qe, ecco che il comparto europeo mostra i segni di emorragia maggiore: -40% dai massimi, chiaramente frutto dell’esplosione dei prezzi energetici legata alla crisi ucraina. 

Se fra meno di una settimana, la Bce avrà alzato i tassi di 75 punti base (ma anche 50 paiono sufficienti a far danni in un contesto simile), dove andranno a finire gli spread? Da inflazione a deflazione via una nuova crisi di insolvenza sovrana? Bella prospettiva.  

Purtroppo, quello del gas appare sempre di più un gioco a somma zero.  

In questa grigia situazione ecco che il Financial Times decide come sia giunto il tempo di svelare l’ennesimo segreto tra volontà di disallineamento dalla dipendenza dell’Ue dalla Russia e inevitabile scontro con la realtà. 

non solo gli stoccaggi tedeschi di gas naturale avrebbero raggiunto con rapidità inattesa un livello superiore a quello del 2021 per affrontare l’inverno ma, soprattutto, i dati del mese di agosto mostrano come la dipendenza di Berlino da Gazprom sia scesa sotto la soglia psicologica della doppia cifra: solo il 9%. 

Peccato che esistano almeno un paio di criticità. La prima sta nei costi. Se infatti il gas acquistato da Olanda e Norvegia risente dell’aumento dei prezzi e di un costo strutturalmente più alto di quello russo, ecco spiegato il perché - contestualmente al tonfo del 20% delle valutazioni dei contratti futures ad Amsterdam - il contratto energetico a 1 anno della Germania lunedì abbia invece sfondato per la prima volta in assoluto i 1.000 euro per MWh.  

E che, ancora più inquietante se visto in prospettiva, la già salvata Uniper abbia nuovamente battuto cassa allo Stato per altri 4 miliardi di euro, poiché costretta a spendere qualcosa come 100 milioni al giorno sullo spot market per acquistare gas non di provenienza russa. 

Insomma, l’indipendenza da Mosca è fondamentale falsa.  

Ed ecco alla seconda criticità., il gas liquefatto che Pechino sta vendendo con il badile all’Europa altro non è che quello russo. 

Nei primi sei mesi di quest’anno, infatti, la Cina ha acquistato un totale di 2,35 milioni di tonnellate di LNG per un valore di 2,16 miliardi di dollari. Un aumento dei volumi pari al 28,7% su base annua, mentre a livello di controvalore si parla addirittura di un +182%. Insomma,  la Russia sanzionata ha superato Indonesia e Usa ed è diventata il quarto fornitore assoluto di gas liquefatto della Cina da inizio 2022. 

Ed ecco la domanda da un milione di dollari: con l’attività economica cinese in rallentamento, parte del complesso industriale chiuso per i focolai di Covid e la domanda interna che non necessita extra-energia, cosa ci fa Pechino con tutto quel gas? Lo vende all’Europa. 

infatti, il più grande importatore di LNG al mondo sta rivendendo interi cargo di gas liquefatto a un’Europa spaventata dalle prospettive di un inverno senza più flussi dalla Russia.  

Gli Stati Ue non stanno acquistando surplus cinese, bensì gas russo a tutti gli effetti. 

Insomma, o ci si svena con LNG statunitense, ora divenuto introvabile per lo strano incendio alla Freeport che ha bloccato l’export fino a metà novembre o presso Norvegia e Olanda. Oppure ci si rifornisce di gas russo dalla Cina. Della serie, invece di contrastare un nemico, ne faccio felici due contemporaneamente.  

Oltretutto operando in modalità di ipocrisia totale, poiché ufficialmente gli Stati europei negano violazioni degli accordi verbali antirussi, rivendicando l’origine cinese di quel gas, poiché sdoganata dalle autorità di Pechino prima di essere rivenduto.  

Ora, al netto del ridicolo che sta ormai sfiorando la strategia sanzionatoria europea, è il dato politico a inquietare: avanti di questo passo, infatti, la Cina potrebbe decidere di rivendere strutturalmente il suo surplus all’Europa, divenendo quinta colonna commerciale di Gazprom. 

Ora, per capire come avvantaggiarti, puoi cliccare sul link in descrizione per avere gratis la mia ultima ricerca “La nuova era del nucleare: come ripagarsi le vacanze grazie alle elezioni.” 

Voi cosa ne pensate? 

Fateci sapere nei commenti.